La delibera consiliare di avvio del procedimento disciplinare costituisce mero atto endoprocedimentale prodromico, modificabile e revocabile in ogni momento dallo stesso Consiglio, mediante il quale il C.O.A., verificata la semplice rilevanza disciplinare dei fatti segnalati con l’esposto, si limita ad enunciare sommariamente i fatti dei quali il professionista sarà chiamato a rispondere e a darne comunicazione all’interessato, al fine di garantire il corretto instaurarsi del contraddittorio e di consentire il pieno esercizio delle facoltà difensive. Essa, pertanto, non può essere assolutamente considerata, ai fini della relativa impugnabilità, quale “decisione” ex art. 50 R.D.L. n. 1578/33, essendo il termine utilizzato dal legislatore riferibile alle sole decisioni che concludono il procedimento, ossia a quei provvedimenti motivati e caratterizzati, ai sensi dell’art. 51 r.d. n. 37/34, dalla esposizione dei fatti, dall’indicazione dei motivi e dal dispositivo.
Il sistema delle impugnazioni dei provvedimenti amministrativi consente di opporre esclusivamente i vizi del procedimento che si siano tradotti in vizi del provvedimento conclusivo, poiché solo in questo caso si può verificare una lesione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo.
La delibera di apertura del procedimento disciplinare è atto dovuto, espressione di uno dei poteri propri del Consiglio, con la quale non si manifesta, neppure per implicito, alcuna statuizione sulla colpevolezza del professionista e, pertanto, su di essa non può essere consentita alcuna valutazione in ordine alla fondatezza dell’accusa prima ancora che un giudice, domestico o terzo che sia, si sia pronunziato.
Il potere di aprire o meno il procedimento disciplinare non arreca alcun pregiudizio all’incolpato, al quale, proprio a mezzo di questo atto, viene fornita la possibilità di far valere subito la propria innocenza fornendo tutti gli elementi a sostegno di essa e di esporre le proprie ragioni personalmente o con l’assistenza del difensore.
Allorquando si voglia riconoscere che un atto endoprocedimentale adottato a tutela delle garanzie dell’incolpato possa essere considerato impugnabile d’innanzi all’organo giurisdizionale sopraordinato, il potere di questo deve essere limitato ad un controllo di mera legalità della delibera qualificato dal riscontro di esistenza dei presupposti di legge per l’adozione del provvedimento, non potendo certamente estendersi al merito e, quindi, ai fatti concernenti la fondatezza dell’incolpazione ed a tutti quelli che direttamente o indirettamente a tale tema si colleghino. Nell’attuale assetto ordinamentale, invero, i Consigli territoriali non sono entità gerarchicamente e funzionalmente sotto ordinate al C.N.F. ma sono gli unici depositari del potere d’iniziativa disciplinare ed assegnatari della relativa competenza, autonomo potere che di fatto risulterebbe limitato ed avocato al CNF da un eventuale controllo esercitato sul merito dell’iniziativa disciplinare. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bolzano, 6 aprile 2010).
Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Morlino), decisione del 27 giugno 2011, n. 86
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 86 del 27 Giugno 2011 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Bolzano, delibera del 06 Aprile 2010
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