In applicazione del principio fondamentale “nemo tenetur se detegere”, basato sull’art. 24 Cost. e sull’art. 6 CEDU, l’avvocato non può essere costretto a deporre contro se stesso ovvero a rendere dichiarazioni in seguito alle quali possa essere successivamente esposto a un procedimento sanzionatorio, ancorché richieste dal consiglio territoriale nell’ambito delle sue funzioni di vigilanza e controllo. Tuttavia, tale diritto al silenzio riguarda il rapporto tra il potenziale incolpato, che intenda avvalersene, e l’autorità titolare dei procedimenti amministrativi, anche solo di vigilanza, finalizzati alla scoperta di eventuali illeciti, all’individuazione dei responsabili ed all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative di carattere punitivo, sicché non può essere legittimamente invocato con riferimento a rapporti diversi (nella specie, nei confronti dell’avvocato di controparte ed all’interno del rapporto di colleganza, con violazione dei doveri di lealtà, correttezza e collaborazione tra i difensori, di cui agli artt. 9, 19 e 46, comma 5, del codice deontologico forense).
Corte di Cassazione (pres. D’Ascola, rel. Cataldi), sentenza n. 27284 del 22 ottobre 2024
Classificazione
- Decisione: Corte di Cassazione, sentenza n. 27284 del 22 Ottobre 2024 (accoglie)- Decisione correlata: Consiglio Nazionale Forense n. 99 del 27 Marzo 2024
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