Il concetto di “estraneità” dell’incarico professionale contro una parte già assistita

Nel quadro delle disposizioni dirette a tutelare, nell’esercizio dell’attività professionale, i valori della correttezza e della lealtà nei rapporti con i terzi, l’art. 68, comma 2, CDF (secondo cui “l’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza”) eleva a parametro selettivo della condotta sanzionabile il concetto di “estraneità”, opportunamente evocato dal regolatore forense in luogo del concetto di “diversità” al fine di chiarire, già dal punto di vista letterale, come la condotta dell’avvocato assume potenziale rilievo disciplinare non solamente quando l’oggetto del secondo mandato non differisce da quello del primo – cioè quando petitum e causa petendi non sono diversi –, ma anche quando l’oggetto del nuovo incarico non è estraneo a quello espletato in precedenza, nonostante petitum e causa petendi differiscano, per via della consonanza tra gli incarichi stessi alla luce dei doveri fondamentali di probità, lealtà e correttezza che si impongono all’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale. In definitiva, attraverso il filtro costituito dalla trama dei doveri fondamentali, che debbono guidare la condotta del professionista anche nei rapporti con i terzi, è perciò possibile misurare se e quanto il nuovo incarico risulti estraneo a quello già espletato; tale valutazione è condotta dal giudice disciplinare unicamente in fatto, sicché il relativo responso è sottratto al sindacato della Corte di Cassazione.

Corte di Cassazione (pres. Cassano, rel. Marulli), SS.UU, sentenza n. 10810 del 24 aprile 2023

abc, Giurisprudenza Cassazione

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