La nozione di domicilio professionale si desume, in via generale, dall’art. 7 della legge n. 247/12, la quale lo definisce “coincidente con il luogo in cui [l’avvocato] svolge la professione in modo prevalente”: a tale nozione fa rinvio, implicitamente, l’art. 6, comma 1 del D. Lgs. n. 96/2001 relativo all’iscrizione degli avvocati stabiliti nella sezione speciale dell’Albo. Ad essi deve pertanto ritenersi applicabile.
Il riferimento, contenuto nella norma, allo svolgimento della professione in modo prevalente consente di identificare il domicilio con il luogo (fisico) in cui l’attività professionale venga effettivamente e prevalentemente svolta, inducendo ad escludere che il domicilio professionale possa essere identificato con una cassetta postale (che, al più, potrà validamente integrare un mero recapito, come tale non sovrapponibile al domicilio professionale). Tale interpretazione è confortata dalla giurisprudenza domestica e dai pareri del Consiglio nazionale forense. Cfr. ad esempio, CNF, sent. n. 66/2013, a mente della quale “il domicilio va individuato tenuto conto della durata, della frequenza, della periodicità e della continuità delle prestazioni professionali erogate, del numero dei clienti e del giro di affari realizzato”; o ancora, sebbene più risalente, il parere n. 21/2010, che annovera tra le competenze del Consiglio dell’Ordine quella di effettuare gli opportuni controlli al fine di “escludere che il domicilio professionale eletto non abbia carattere di effettività”. Ancor più risalente – ma particolarmente attagliato alla fattispecie – il parere n. 124/2001 che ha escluso l’idoneità del camper ad integrare validamente il requisito del domicilio professionale, proprio perché susciterebbe problemi relativamente alle localizzazioni di legge”.
Consiglio nazionale forense, parere del 12 luglio 2019, n. 29
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