Il Codice Deontologico non esaurisce tutte le possibili ipotesi di illecito disciplinare, ben potendo venire in considerazione comportamenti non esemplificati nello stesso ma egualmente suscettibili di ledere i principi generali ivi espressi, fra i quali quelli di dignità e decoro. Conseguentemente, ha potenziale rilievo deontologico l’azione giudiziale palesemente infondata, a nulla rilevando in contrario l’eventuale consapevolezza del cliente circa l’infondatezza stessa, giacché tra i compiti dell’avvocato non rientra solo il dovere di informazione del cliente ma anche quello di dissuasione ovvero di sconsigliare il cliente dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (Nel caso di specie, il professionista aveva intimato precetto per somma non dovuta e coltivato il relativo giudizio di opposizione da parte dell’intimato, palesemente fondata, come accertato con sentenza. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura).
Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Calabrò), sentenza del 12 settembre 2018, n. 100
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Marullo di Condojanni), sentenza del 12 luglio 2016, n. 184.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 100 del 12 Settembre 2018 (respinge) (censura)- Consiglio territoriale: COA Venezia, delibera del 19 Novembre 2010 (censura)
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