L’errore sul termine per l’impugnazione non giustifica la rimessione in termini

L’istituto della rimessione in termini (art. 153 co. 2 cpc, già art. 184 bis cpc) ha una connotazione di carattere generale e, come tale, trova in astratto applicazione anche nella fase di gravame dinanzi al CNF, ricorrendone i presupposti, ovvero una causa di forza maggiore o caso fortuito, giacché il concetto di non imputabilità deve presentare il carattere dell’assolutezza, non essendo sufficiente la prova di una impossibilità relativa, quale potrebbe essere la semplice difficoltà dell’adempimento o il ricorrere di un equivoco, evitabile con l’ordinaria diligenza, dovendo in tal caso trovare applicazione il principio di autoresponsabilità (Nel caso di specie, l’incolpato aveva proposto appello al CNF tardivamente, ovvero entro il termine di 30 giorni previsto per le decisioni del CDD anziché entro il termine di 20 giorni previsto per le decisioni del COA, come nella specie. In applicazione del principio di cui in massima, la Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso Consiglio Nazionale Forense – pres. f.f. Picchioni, rel. Calabrò – sentenza n. 37 del 4 aprile 2017, che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione).

Corte di Cassazione (pres. Canzio, rel. Scarano), SS.UU, sentenza n. 19653 del 24 luglio 2018

NOTA:
Esattamente in termini, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Logrieco), sentenza del 21 giugno 2018, n. 72.

abc, Giurisprudenza Cassazione

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