La rilevanza del fatto disciplinare dev’essere accertata con giudizio globale, diretto a riscontrare se l’immagine deontologica dell’avvocato sia stata effettivamente compromessa dall’illecito, quale conseguenza tratta dall’esame complessivo degli elementi di giudizio. Tale valutazione, compiuta dal giudice disciplinare sulla base delle risultanze del procedimento, non è soggetto al sindacato delle sezioni unite, laddove la delibazione del contenuto degli scritti e delle circostanze oggetto di vicende giudiziali unitamente all’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui decoro e, infine, all’esclusione dell’esercizio del diritto di critica difensiva costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da motivazione adeguata al cd. minimo costituzionale. Infatti le sentenze del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite della Corte, ai sensi dell’art. 56 r.d.l. n. 1578/1933, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito.
Corte di Cassazione (pres. Schirò, rel. Cirillo), SS.UU, sentenza n. 19526 del 23 luglio 2018
Classificazione
- Decisione: Corte di Cassazione, sentenza n. 19526 del 23 Luglio 2018 (respinge)- Decisione correlata: Consiglio Nazionale Forense n. 408 del 31 Dicembre 2016
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