In tema di responsabilità disciplinare dell’avvocato, la «coscienza e volontà delle azioni o omissioni» di cui all’art. 4 del nuovo Codice Deontologico consistono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile alla volontà del soggetto. Il che fonda la presunzione di colpa per l’atto sconveniente o addirittura vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa. Sicché l’agente resta scriminato solo se vi sia errore inevitabile, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza, oppure se intervengano cause esterne che escludono l’attribuzione psichica della condotta al soggetto. Ne deriva che non possa parlarsi d’imperizia incolpevole ove si tratti di professionista legale e quindi in grado di conoscere e interpretare correttamente l’ordinamento giudiziario e forense.
Corte di Cassazione (pres. Schirò, rel. Armano), SS.UU, sentenza n. 18460 del 12 luglio 2018
Classificazione
- Decisione: Corte di Cassazione, sentenza n. 18460 del 12 Luglio 2018 (respinge)- Decisione correlata: Consiglio Nazionale Forense n. 89 del 13 Luglio 2017
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