La soluzione al presente parere ha riguardo al primo comma dell’art. 10 DM n. 55/2014.
Da un esame letterale della norma si ricava che il compenso dovuto è determinato sulla base della tabella 26. La dizione letterale, peraltro, non lascia dubbi circa il fatto che il compenso sia stabilito e, quindi, dovuto al singolo arbitro, sia lo stesso arbitro unico o componente di un collegio. Infatti la norma fa riferimento ai “compensi” dovuti “agli arbitri” e non al “collegio”. Inoltre, l’utilizzo del plurale per entrambi i termini non può che avvalorare l’interpretazione sopra esposta.
Ne consegue, pertanto, che in un arbitrato, rituale o irrituale, il compenso sarà dovuto secondo la tabella 26 ad ogni singolo componente del collegio. A favore di tale ipotesi milita – oltre al tenore letterale della norma e alla necessaria differenziazione del compenso del singolo arbitro sulla base della funzione effettivamente svolta – la circostanza che le misure parametriche per la retribuzione dell’attività professionale dell’avvocato identificano il compenso ritenuto equo per la prestazione professionale. Pertanto, se si ritenesse che il compenso come stabilito nella tabella 26 faccia riferimento all’attività a prescindere dalla composizione, monocratica o collegiale, dell’organo si avrebbe l’irragionevole conseguenza che solo all’arbitro unico spetterebbe l’equo compenso fissato dai parametri di cui al DM n. 55/2014, mentre all’arbitro membro di un collegio spetterebbe un compenso pari ad un terzo di quello fissato come equo dalla norma. Né è possibile ritenere altrimenti che l’equo compenso del membro di un collegio arbitrale possa differire dal compenso dell’arbitro unico, stante la sostanziale identità delle funzioni svolte e la tendenziale maggiore complessità delle controversie compromesse in arbitri attraverso il modulo collegiale.
La determinazione del compenso con riferimento al singolo arbitro consentirebbe, peraltro, di adeguare il compenso del singolo membro del collegio arbitrale all’attività effettivamente svolta. Anche in assenza di una espressa previsione, infatti, può farsi ricorso all’analogia, ai sensi dell’art. 3 dello stesso DM n. 55/14, con quanto previsto dall’art. 8, comma 1, in relazione a collegi difensivi composti da una pluralità di avvocati. In questo caso, il DM prevede infatti che il compenso del singolo membro del collegio difensivo vada determinato avuto riguardo all’opera effettivamente prestata. Analogamente, nel caso del collegio arbitrale, la determinazione del compenso del singolo arbitro deve rimanere necessariamente scissa dalla retribuzione della funzione collettivamente esercitata dal collegio, anche in ragione del diverso apporto di ciascun arbitro alla definizione della controversia e alla stesura del lodo, di regola affidata al Presidente del collegio.
Consiglio nazionale forense (rel. Morlino), Parere 17 luglio 2014, n. 51
Quesito n. 414, COA di Palermo
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 51 del 17 Luglio 2014- Consiglio territoriale: COA Palermo, delibera (quesito)
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