Responsabilità disciplinare: la mera “culpa in vigilando” non esclude la sussistenza dell’elemento psicologico

La responsabilità del professionista ai fini dell’addebito dell’infrazione disciplinare non necessita di cosiddetto dolo specifico e/o generico, essendo sufficiente la volontarietà con cui l’atto è stato compiuto ovvero omesso, anche quando questa si manifesti in un mancato adempimento all’obbligo di controllo del comportamento dei collaboratori e/o dipendenti. Il mancato controllo costituisce piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto (Nel caso di specie, l’incolpato -una volta a conoscenza del comportamento del proprio collaboratore, difforme dalle disposizioni ovvero in contrasto con le stesse- non aveva posto in essere alcuna attività diretta nell’immediatezza, a rimediare all’accaduto arrestando la catena causale).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Morlino), sentenza del 3 settembre 2013, n. 156

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 156 del 03 Settembre 2013 (respinge) (sospensione)
- Consiglio territoriale: COA Bergamo, delibera del 18 Maggio 2010 (sospensione)
abc, Giurisprudenza CNF

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