Il soggetto che, al momento in cui pone in essere la condotta contraria alla regola deontologica, versi, a causa di una grave infermità, in stato di totale incapacità di intendere e di volere, in quanto totalmente privo del dominio della sua volontà, non può essere ritenuto responsabile disciplinarmente. Viene, evidentemente, meno in tale ipotesi la volontarietà dell’azione e del comportamento, requisito imprescindibile per l’affermazione di responsabilità. Per contro, anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità di intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e volere nel senso di affievolirla, ma non escluderla del tutto, non ostano alla configurabilità dell’illecito disciplinare, potendo avere rilievo solo ai fini della sua valutazione e dell’entità della pena da irrogare, giacché al fine di integrare l’illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la mera volontarietà della condotta, dovendosi prescindere dall’intenzionalità della stessa.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Baffa), sentenza del 20 luglio 2013, n. 128
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Neri), sentenza del 17 luglio 2013, n. 106.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 128 del 20 Luglio 2013 (respinge) (sospensione)- Consiglio territoriale: COA Perugia, delibera del 14 Ottobre 2011 (sospensione)
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