Il COA di Roma su sollecitazione del Garante delle persone private della libertà personale chiede di conoscere se sia possibile per un detenuto svolgere il tirocinio forense, senza autorizzazione al patrocinio, stante il limite posto dalla mancanza della condotta specchiatissima ed illibata prevista dall’art. 17, comma 2, in relazione al n. 3, comma 1, stesso articolo R.D. 1578/33.

Un’attenta lettura del quesito così come posto evidenzia il riferimento a due momenti distinti: l’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati e lo svolgimento del tirocinio. Il primo sconta il possesso dei requisiti di cui all’art. 17, comma 2, R.D. cit. ed è condizione preliminare obbligatoria per potersi effettuare il secondo. I due aspetti sono oggetto di valutazioni da espletarsi separatamente ed in momenti diversi e, precisamente, il possesso dei requisiti di cui all’art. 17 cit. va verificato al momento della richiesta di iscrizione nel registro praticanti; il secondo va verificato al momento del rilascio del certificato di compiuta pratica per l’iscrizione all’esame di abilitazione all’esercizio della professione. Il quesito posto deve, dunque, essere così scisso in due domande: può un soggetto privato della libertà personale in quanto detenuto essere iscritto nel registro praticanti avvocati, stante il requisito della condotta specchiatissima ed illibata?; può un soggetto detenuto che sia stato iscritto nel registro praticanti avvocati svolgere compiutamente il tirocinio forense?
Così correttamente riformulata la questione non può che farsi rilevare che le valutazioni circa il possesso del requisito della condotta specchiatissima ed illibata richiesto per l’iscrizione nel registro sono di esclusiva competenza del Consiglio territoriale al quale la richiesta è presentata; infatti, solo questo può valutare la natura dei reati, l’entità della pena, la distanza temporale intercorsa tra la commissione del delitto e la richiesta d’iscrizione, la sussistenza dei presupposti riabilitativi, la mancata sussistenza degli elementi di cui all’art. 42 R.D. cit., dovendo acquisire il certificato giudiziale di cui all’art. 1, lett. b) del R.D. n. 37/34. A tanto si aggiunge che un eventuale impedimento all’iscrizione sarebbe costituito non tanto dalla mancanza del requisito della condotta (art. 17, comma 1 n.3), ma dal fatto di essere il soggetto richiedente privato della libertà personale ovvero condannato in via definitiva e ristretto in Casa Circondariale, circostanza che comporta l’interdizione dai pubblici uffici per il periodo di espiazione di una pena. Diverso sarebbe il caso di colui che dopo aver espiato la condanna, non sospesa condizionalmente, chieda di essere iscritto. In tale ipotesi la valutazione avrebbe riguardo alla sussistenza della condotta illibata e specchiatissima.
Quanto al secondo aspetto appare prematuro anticipare a prima dell’iscrizione un giudizio sulla concreta possibilità per il soggetto ristretto di svolgere il tirocinio, ma in ogni caso la valutazione dovrebbe essere rimessa ad un giudizio di legittimità e corrispondenza ai dettami della disciplina vigente in tema di svolgimento del tirocinio, anche considerando che le modalità di svolgimento del tirocinio che, se pur soggette ad autorizzazioni da parte dell’Ufficio di Sorveglianza, competente potrebbero in linea puramente teorica non essere incompatibili con lo stato di detenzione. Resta, però, il problema che tale tirocinio non può essere espletato se prima non si sia ottenuta l’iscrizione nei registri tenuti dal COA.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Morlino), parere 16 gennaio 2013, n. 5

Quesito n. 208 del COA di Roma

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 5 del 16 Gennaio 2013
- Consiglio territoriale: COA Roma, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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