In tema di cancellazione dall’Albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico part-time, devono ritenersi manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della legge n. 393/03 sollevate in riferimento alla asserita mancata previsione di una disciplina transitoria, e, per altro verso, per la prospettiva di travolgere situazioni giuridiche soggettive ormai consolidatesi. Il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere invero ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). (Nel caso di specie, un dipendente del Ministero della Giustizia, Cancelliere in servizio presso un Tribunale in regime di lavoro part-time al 50%, comunicava l’intervenuta opzione per il mantenimento dell’impiego pubblico. Seguiva la sua convocazione davanti al Consiglio dell’Ordine e la deliberazione di cancellazione, che veniva quindi impugnata. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato il ricorso).
NOTA:
In arg. cfr., tra le altre:
– Consiglio Nazionale Forense (rel. Morlino), parere del 23 febbraio 2012, n. 2
– Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. BAFFA), sentenza del 23 ottobre 2010, n. 131
– Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. VERMIGLIO, rel. BULGARELLI), sentenza del 31 dicembre 2009, n. 268
– Consiglio Nazionale Forense (rel. Allorio), parere del 12 dicembre 2007, n. 51
– Consiglio Nazionale Forense, circolare n. 35-C/2006
– Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. CRICRI’, rel. MORGESE), sentenza del 11 luglio 2005, n. 94
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 183 del 20 Dicembre 2012 (respinge) (cancellazione amm.va)- Consiglio territoriale: COA Roma, delibera del 09 Novembre 2007 (cancellazione amm.va)
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