Illecito disciplinare: i principi di tipicità e tassatività

L’art. 38 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 sull’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, il quale, nel prevedere come illecito disciplinare i fatti non conformi alla dignità ed al decoro professionale, manifestamente non si pone in contrasto con l’art. 25 della costituzione, vertendosi in tema di infrazioni non penali, per le quali il legislatore non è tenuto ad adottare i paradigmi della fattispecie tipica e tassativa, consente di includere nella suddetta previsione ogni comportamento del professionista che sia posto in essere coscientemente e volontariamente e si traduca in una violazione dei canoni della deontologia professionale, idonea a ledere la dignità ed il prestigio della classe forense, come nel caso in cui il professionista, per riscuotere un credito verso il proprio cliente, promuova abnormi e reiterate procedure esecutive, ciascuna rivolta a recuperare le spese di quella precedente, sì da arrecare danni materiali e morali al debitore del tutto sproporzionati alla entità del credito iniziale.

Cassazione Civile, sentenza del 17 febbraio 1983, n. 1197, sez. U- Pres. TAMBURRINO G- Rel. LIPARI N- P.M. FABI B (CONF)
NOTA:
Il principio di cui in massima trova espresso riscontro nell’art. 60 codice deontologico.
In arg. cfr., ora, l’art. 3 co. 3 della nuova Legge Professionale (ad oggi in attesa di pubblicazione nella GU), secondo cui le norme deontologiche “per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile”.

Giurisprudenza Cassazione

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