L’art. 50 della legge professionale forense (R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36) attribuisce effetto sospensivo al ricorso dell’interessato soltanto con riguardo alle sanzioni disciplinari inflitte dal Consiglio dell’ordine, ma non si estende ai provvedimenti di altro tipo adottati dallo stesso organo, salvo che altra, specifica disposizione di legge non disponga diversamente, come accade per la cancellazione dall’albo ai sensi dell’art. 37, quinto comma, della stessa legge; ne consegue che detto effetto sospensivo non opera in relazione al ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento, adottato in via di autotutela, di revoca o di annullamento di un atto di reiscrizione all’albo, provvedimento che, pertanto, è in grado di privare l’avvocato, nonostante la proposizione del ricorso, dello “ius postulandi”, operando il principio generale, valido per tutti gli atti amministrativi, della loro immediata esecutività, e trovando in tal caso applicazione la regola dettata dal sesto comma del citato art. 37, il quale, richiamando il precedente art. 31 in tema di iscrizioni, riconosce effetto sospensivo soltanto al ricorso del pubblico ministero avverso la delibera, positiva o negativa, del Consiglio dell’ordine. (Sulla base del principio di cui in massima, le S.U. hanno confermato la decisione del Consiglio nazionale forense di inammissibilità del ricorso proposto personalmente dall’interessato, rilevando che questi, per effetto della revoca della precedente delibera di reiscrizione adottata dal Consiglio dell’ordine, era stato privato dello “ius postulandi”).
Cassazione Civile, sentenza del 10 gennaio 2003, n. 257, sez. U- Pres. Delli Priscoli M- Rel. Napoletano G- P.M. Palmieri R (conf.)
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