Le attività il cui esercizio è ritenuto incompatibile, a norma dell’art. 3 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 con le professioni forensi non sono caratterizzate dalla professionalita, ossia dalla normalità del loro esercizio in vista dell’attitudine a produrre reddito, bensì dalla idoneità ad incidere negativamente sulla libertà del professionista, idoneità che, può, di volta in volta, derivare dall’essere esse dirette alla cura di interessi che possono interferire nell’esercizio delle suddette professioni, ovvero dalla subordinazione che esse determinano nei confronti di terzi, ovvero, infine, dai poteri che essi comportano in chi le esercita. Ne consegue, per quanto attiene ai ministri del culto cattolico, che mentre non sussiste alcuna incompatibilità fra l’esercizio delle professioni forensi ed il puro stato sacerdotale, comportante la sola potestà di ordine, la quale non implica di per se, alcuna supremazia nei confronti dei fedeli, siffatta incompatibilità sussiste, invece, con la titolarità della potestas jurisdictionis, sia essa ordinaria o delegata, caratterizzata da un rapporto autoritativo e pubblicistico fra ministro e fedele. In quest’ultima potestà deve essere annoverata sia la giurisdizione di foro esterno, spettante in connessione con la titolarità di un ufficio ecclesiastico, sia la giurisdizione di foro interno esplicantesi sui fatti della coscenza, principalmente attraverso il sacramento della penitenza. (Nella specie, sulla base di tali principi, è stato ritenuto che esattamente il consiglio nazionale forense aveva negato l’iscrizione nell’albo dei procuratori legali ad un sacerdote del culto cattolico non investito da cura d’anime, o titolare di un ufficio ecclesiastico, ma munito della delega dei superiori canonici per l’amministrazione del sacramento della penitenza).
Cassazione Civile, sentenza del 19 luglio 1976, n. 02848, sez. U- Pres. STELLA RICHTER M- Rel. CAROTENUTO G
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