Il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di Cassazione dev’essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. Tale principio trova applicazione anche nel caso di mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del consiglio dell’ordine degli avvocati nel corso di un procedimento disciplinare, poiché l’art. 49 del R.D. n. 37 del 1934, sebbene non imponga, a differenza dell’art. 244 cod. proc. civ., l’indicazione specifica dei fatti da provare formulati in articoli separati, prescrive pur sempre che debbono essere sommariamente esposte le circostanze sulle quali l’incolpato ed il P.M. intendono che i testimoni siano esaminati.
Cassazione Civile, sentenza del 24 febbraio 1998, n. 1988, sez. U- Pres. Sgroi V- Rel. Evangelista SM- P.M. Leo A (Conf.)
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