Il Consiglio (di Siena) chiede parere circa la compatibilità tra la qualità di “imprenditore agricolo professionale” e la professione di avvocato ovvero la attività di praticante abilitato al patrocinio.

La Commissione, dopo ampia discussione, ha preso in considerazione la seguente formulazione:
“La Commissione ritiene, in linea generale, di confermare il proprio precedente orientamento, da ultimo affidato al parere 9 maggio 2007, n. 31, nel quale indicava alcuni criterî ritenuti utili a valutare in concreto la compatibilità tra lo svolgimento di attività imprenditoriale agricola e la contemporanea permanenza nell’albo degli avvocati.
Preliminarmente va chiarito che la problematica ha una propria consistenza se si ha riguardo al piccolo imprenditore agricolo, mentre è evidente che ove si sia in presenza di un titolare di una moderna impresa organizzata, anche nel settore agroalimentare, questi è un “esercente il commercio” nel senso più pieno di cui alla legge professionale.
In particolare nel citato parere si osservava che figura del piccolo imprenditore agricolo non rientra tra quelle degli esercenti il commercio per le quali, ai sensi dell’art. 3 l.p.f., è prevista un’incompatibilità con l’iscrizione nell’albo degli avvocati.
La connotazione che la normativa codicistica (art. 2083 c.c.) e la giurisprudenza forniscono a questa condizione è proprio quella di colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei congiunti, coltiva il fondo di proprietà ed eventualmente cede i frutti a terzi.
Manca, perciò, al piccolo imprenditore agricolo quel quid pluris, qual’è ad esempio l’organizzazione aziendale o lo smercio di prodotti chiaramente eccedenti quelli prodotti dal fondo ovvero ancora la rilevante trasformazione realizzata sul prodotto naturale, affinché si possa affermare che è il “commercio” il carattere predominante dell’attività intrapresa anziché il mero sfruttamento (più o meno redditizio) delle risorse terriere.
D’altronde sono questi i caratteri che garantiscono al piccolo imprenditore la sottrazione alle norme in materia di fallimento, come statuito dall’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come infine modificato con d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.
Il profilo della soggezione al fallimento rimane, in ogni caso, un corollario anziché un criterio discretivo univoco.
Si ribadiscono, dunque, le conclusioni già raggiunte: la condizione di piccolo imprenditore agricolo in quanto tale non osta al contemporaneo esercizio della professione forense, purché l’interessato si mantenga nei limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza a questa figura, ossia finché l’attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione, sì da mettere a repentaglio l’indipendenza dell’avvocato (bene effettivamente oggetto di tutela da parte dell’ordinamento forense) inserendolo nelle dinamiche della concorrenza tra imprenditori.
E’ prerogativa del Consiglio dell’Ordine competente, esaminata la documentazione descrittiva dell’attività in questione, giungere ad una conclusione circa la compatibilità nel singolo caso.”

Consiglio Nazionale Forense (rel. Cardone), parere del 28 ottobre 2009, n. 44

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 44 del 28 Ottobre 2009
- Consiglio territoriale: COA Siena, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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