La Commissione, dopo ampia discussione, adotta il seguente parere:
“La Commissione ritiene che figura del piccolo imprenditore agricolo non rientri tra quelle degli esercenti il commercio per le quali, ai sensi dell’art. 3 l.p.f., è prevista un’incompatibilità con l’iscrizione nell’albo degli avvocati.
La connotazione che la normativa codicistica (art. 2083 c.c.) e la giurisprudenza forniscono a questa condizione è proprio quella di colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei congiunti, coltiva il fondo di proprietà ed eventualmente cede i frutti a terzi.
Deve quindi ritenersi necessario un quid pluris, quale ad esempio l’organizzazione aziendale o lo smercio di prodotti chiaramente eccedenti quelli prodotti dal fondo ovvero ancora la rilevante trasformazione realizzata sul prodotto naturale, affinché si possa affermare che il “commercio” diventi carattere predominante dell’attività intrapresa.
D’altronde sono questi i caratteri che garantiscono al piccolo imprenditore la sottrazione alle norme in materia di fallimento, come statuito dall’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
Il profilo della soggezione al fallimento rimane, in ogni caso, una corollario anziché un criterio discretivo univoco.
Sulla scorta di queste considerazioni si deve ritenere che la condizione di piccolo imprenditore agricolo in quanto tale non osti al contemporaneo esercizio della professione forense, purché l’interessato si mantenga nei limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza a questa figura, ossia finché l’attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione, sì da mettere a repentaglio l’indipendenza dell’avvocato (bene effettivamente oggetto di tutela da parte dell’ordinamento forense) inserendolo nelle dinamiche della concorrenza tra imprenditori.”
Consiglio Nazionale Forense (rel. Morgese), parere del 9 maggio 2007, n. 30
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 30 del 09 Maggio 2007- Consiglio territoriale: COA Bergamo, delibera (quesito)
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