Dopo ampia discussione, la Commissione fa propria la proposta del relatore, e si esprime nei termini seguenti:
– L’art. 28 del codice deontologico forense impone all’avvocato il divieto di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi.
Tale divieto deve ragionevolmente intendersi esteso ad ogni forma di corrispondenza con i colleghi (anche orale, telefonica o telematica) e non solo alla corrispondenza scritta; deve ritenersi del tutto inderogabile quando il dialogo fra colleghi sia stato espressamente o implicitamente qualificato come riservato. Conseguentemente, il contenuto di conversazioni riservate tenute da avvocati anche su proposte transattive deve essere qualificato oggetto di conoscenza “per ragione del proprio ministero, ufficio o professione”, e quindi oggetto di segreto professionale ai sensi dell’art. 200 c.p.p.; tale qualificazione comporta la facoltà di astensione dal deporre come testimone, prevista dall’art. 249 c.p.c., per il richiamo contenuto in tale norma.
La facoltà di astensione accordata dal legislatore di rito, correlata con la prescrizione deontologica innanzi richiamata, comporta per l’avvocato l’esclusione dell’obbligo di rendere testimonianza sulle proposte transattive trasmesse dal difensore della controparte; né sul doveroso esercizio della facoltà di astensione può incidere la volontà della parte assistita, trattandosi di regole stabilite nell’interesse generale al corretto esercizio della professione d’avvocato, e quindi di interessi estranei al legittimo suo potere di disposizione.
Consiglio Nazionale Forense, parere del 4 luglio 2001, n. 61
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 61 del 04 Luglio 2001- Consiglio territoriale: COA Roma, delibera (quesito)
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