Il ricorso presentato oltre il termine perentorio di giorni venti dalla data della notifica del provvedimento previsto dall’art. 50 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 va dichiarato inammissibile. I termini per l’impugnazione delle sentenze, invero, sono perentori, inquadrandosi nell’istituto generale della decadenza della proposizione di un atto dovuto e non possono pertanto essere prorogati, sospesi o interrotti, se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge.
L’attuale formulazione dell’art. 184 co. 2, c.p.c., attribuisce all’istituto della rimessione in termini una connotazione di carattere generale che, come tale, può trovare astrattamene applicazione anche nella fase di gravame dinanzi al CNF.
Ai fini della applicazione dell’istituto della rimessione in termini deve poter ricorrere una causa giustificativa dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Va esclusa la sussistenza di una tale eccezionale circostanza quando il ricorrente manchi di dimostrare di essere incorso nella decadenza per causa ad essa non imputabile. A tal fine, il concetto di non imputabilità deve presentare il carattere dell’assolutezza, non essendo sufficiente la prova di una impossibilità relativa, quale potrebbe essere la semplice difficoltà dell’adempimento o il ricorrere di un equivoco, evitabile con l’ordinaria diligenza. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 8 giugno 2009).
Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. MASCHERIN), sentenza del 9 settembre 2011, n. 134
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 134 del 09 Settembre 2011 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Milano, delibera del 08 Giugno 2009
0 Comment