La produzione in giudizio di una lettera qualificata riservata personale non diviene priva di rilevanza disciplinare allorquando il suo contenuto sia comunque processualmente acquisito sulla base degli scritti difensivi e della prova documentale, i quali siano tali da far perdere alla corrispondenza il carattere di riservatezza rendendola altresì ininfluente ai fini della decisione. La lettura sistematica dell’art. 28 c.d.f. non consente invero di valutare, ai fini disciplinari, l’utilità e l’influenza della produzione della corrispondenza scambiata fra avvocati, rilevando la sola considerazione che l’avvocato abbia scritto ed inviato quella specifica lettera con la volontà espressa di mantenerla nello stretto ambito di personale colleganza.
La lettera riservata personale costituisce esercizio di una libertà svincolata da ogni valutazione circa la scelta fatta da chi ha espressamente voluto la riservatezza, ed è soltanto l’autore che può sciogliere il vincolo della riservatezza, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il contenuto della corrispondenza risulti illecito.
L’avvocato che produca in giudizio una missiva del collega di controparte, qualificata come riservata personale e contenente una proposta transattiva, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, in quanto lesivo del dovere di riservatezza e colleganza a cui ciascun professionista è tenuto per la piena realizzazione del processo. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 6 novembre 2008).
Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. CARDONE), sentenza del 13 dicembre 2010, n. 198
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 198 del 13 Dicembre 2010 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Roma, delibera del 06 Novembre 2008
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