Atteso che la “sconvenienza” (intesa come uso di un lessico rozzo o volgare) e la “offensività” (intesa come intenzionale lesione dell’onore e decoro altrui) delle espressioni usate dal difensore nell’esercizio del diritto a svolgere la difesa giudiziale, deve essere valutata con riguardo al complessivo significato ed allo scopo dello scritto, specie per gli atti impugnatori che hanno l’ovvia funzione di criticare una precedente decisione giudiziaria, deve ritenersi che le espressioni usate dal professionista nei confronti del magistrato non sono idonee ad integrare l’illecito ex art. 20 c.d.f. qualora, lette nel contesto generale dell’atto di impugnazione, costituiscano certamente critica severa al provvedimento del magistrato ed una vivace sollecitazione ad una più penetrante attenzione dei giudici di appello, ma non possano ritenersi esorbitanti dalle esigenze di difesa dell’appellante, rispondendo piuttosto al bisogno di rappresentare, con la maggiore efficacia possibile, la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Catania, 8 aprile 2003).
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 194 del 28 Dicembre 2006 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Catania, delibera del 08 Aprile 2003
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